lunedì 24 marzo 2003

21st Century Schizoid Band

Sceso in pantofole alla discoteca Faster in piazza Guala a vedere:
Recensione tratta da :

  • Francamente non speravo di riuscire a rivedere la 21st Century Schizoid Band a soli sei mesi di distanza dalla prima occasione, ed invece il breve tour Europeo della band ha toccato anche Torino, anche se la sede dell’evento non era secondo me all’altezza della situazione : la cornice stavolta non era un teatro dall’ottima resa acustica come la celebre Fairfield Hall di Croydon, ma una discoteca della periferia operaia Torinese. Sorvoliamo sull’alto prezzo del biglietto (il più caro tra tutte le date Italiane) e sul caro-consumazioni e caro-guardaroba (quanto cazzo deve costare una serata di divertimento in una città in crisi?), ma se non altro uno che va ad assistere ad un concerto avrebbe almeno il diritto di non essere affumicato dall’altrui fumo di sigaretta, mentre già diverso tempo prima dell’inizio il locale era invaso da una spessa coltre di fumo stagnante. A sbriciolare completamente gli attributi ha provveduto oltre un’ora di musica di “sottofondo” sparata senza tregua dal PA system, e riproducente i peggiori Yes in versione metallica periodo Trevor Rabin. Cosicchè l’ingresso on stage dei cinque componenti della band è stato una vera e propria liberazione : nonostante alcuni inconvenienti tecnici che causano una falsa partenza, la band rompe gli indugi con Pictures Of A City, guidata possentemente dall’unisono di chitarra e due saxes. Difficile non rimanere fulminati da questo classico che ebbe la sola sfortuna di essere incluso nell’album più frammentato di King Crimson, realizzato da una formazione ormai disciolta che divergeva in più direzioni. Da quello stesso album è tratto anche il secondo pezzo in scaletta, quella Cat Food che a distanza di anni può essere vista come un primordiale inno anticonsumista : Ian McDonald si sforza di riprodurre le parti di piano con le quali Keith Tippett caratterizzò questo pezzo, che Jakko suona e canta in maniera impeccabile. Dopo una presentazione in un Italiano tutto sommato accettabile da parte dello stesso Jakko, con tanto di foglietto alla Phil Collins, viene eseguita Let There Be Light dall’album Drivers Eyes di Ian McDonald, al quale segue uno strumentale dai caratteri jazzati che a tratti rievoca alcuni passaggi dagli albums del chitarrista Kingdom Of Dust e Mustard Gas And Roses. La porzione finale del pezzo ha messo in risalto il drumming muscolare ma non privo di tecnica di Ian Wallace, che si è prodotto in una serie di rullate di qualità decisamente superiore a quella dei suoi ingenui e prolungati solos di batteria dispensati nel corso dei tour di Crimso del 1971 e 1972. E’ quindi il momento di In The Court Of The Crimson King, con i suoi cori a quattro voci, il respiro del mellotron e l’indimenticabile solo di flauto di Ian McDonald che riscaldano i cuori dei presenti : le allegorie di Sinfield possono forse suonare oggi un po datate, ma francamente chi può dire di non averle ascoltate con sommo piacere? La macchina del tempo ci porta ora in avanti di ben quattro albums, alle delicate melodie di Formentera Lady, ma stasera a differenza di quanto accaduto a Croydon l’entusiasmante crescendo del pezzo non viene troncato ma sfocia nell’incredibile The Sailor’s Tale : ho sperato vivamente che con l’ingresso di Wallace nel line up questo strumentale che figura tra i miei preferiti in assoluto venisse incluso nel set, ed il lavoro introduttivo sulla campana del piatto ha puntualmente annunciato che il mio desiderio si stava tramutando in realtà. Addirittura incredibile la cura e fedeltà con cui Jakko ha riprodotto tutte le parti di chitarra che Fripp incise nella album version (anche se la versione migliore di questo pezzo rimane secondo me quella inclusa in Earthbound). Peccato che la tensione creata da the Sailor’s Tale lasci il posto ad un pezzo insulso come If I Was, altro estratto dall’album solista di McDonald per di più rovinato da una prima parte nel corso della quale è totalmente sparita la voce dello stesso autore. Francamente non capisco perché al posto di If I Was non è stato incluso qualche pezzo dalla discografia di Jakko o quantomeno dall’album di McDonald & Giles, come era stato nel corso del tour precedente quando venne eseguita Tomorrow’s People. Si rientra nei binari con Ladies Of The Road, occasione giusta per un adeguato sfogo di Mel Collins al sax che si diverte con un prolungato solo, imitato in seguito da McDonald che nella successiva I Talk To The Wind si produce nel suo leggendario solo di flauto. Anche stavolta chiude il set Epitaph, forse il maggiore affresco delle visioni apocalittiche di Sinfield : fa un certo effetto, oggi, fare un confronto tra la concezione che il paroliere aveva della band e l’attuale risultato degli sviluppi perseguiti da Fripp, evidente prova che la partnership non poteva durare più a lungo di quanto è durata. L’impeccabile esecuzione di Epitaph ha lasciato il posto alla standing ovation del rumoroso pubblico del locale (che differenza con il compostissimo pubblico Britannico), placata dal rientro in scena della band per un breve estratto strumentale da Birdman, unica concessione all’album di McDonald & Giles, e per una pirotecnica esecuzione di 21st Century Schizoid Man costellata da una impressionante serie di solos. Il lungo rumoreggiare del pubblico non ha purtroppo sortito altro effetto che l’indesiderato attacco dello stesso materiale degli Yes che ci aveva afflitto prima dell’inizio del concerto; l’opprimente cortina di fumo di sigaretta non consente di attendere l’uscita dei musicisti per il rito dell’incontro con il pubblico, affumicati dalla testa ai piedi si guadagna l’uscita. Detto per inciso, io a questo punto avrei volentieri intervistato la band, come no, ma i miei tentativi di mettere in piedi una collaborazione con il management della band sono andati a vuoto, frustrati da una lunga serie di silenzi e qualche risposta evasiva a seguito delle mie e-mails. Io, da parte mia, non ho più l’entusiasmo giovanile che tempo addietro mi spingeva a sfidare la calca e le gomitate nel costato per strappare qualche risposta alla band di turno (ricordo un’avventurosa intervista ad Aldo Tagliapietra totalmente improvvisata, condotta senza domande pronte, senza registratore e senza il materiale necessario per prendere appunti, trascritta un’ora più tardi davanti ad una birra in un locale nei pressi della stazione di Porta Nuova) e quindi senza la dovuta organizzazione non mi muovo più. Peccato che chi di dovere abbia risposto alle mie richieste chiedendo a sua volta informazioni sui contenuti di questo spazio, sul numero settimanale di visitatori e, come se non bastasse, anche qualche esempio di recensioni da me scritte, facendo in seguito perdere le proprie tracce. La cosa non mi ferisce, anche perché a trattamenti simili sto facendo il callo (vero signori della Virgin Italia, della Mescal, della Insideout e qualcun altro che ora mi sfugge?); cari signori, come disse tanti anni fa il grande Troisi in un famoso sketch de La Smorfia, “questa è una casa povera ma onesta!”. I miei affezionati lettori perdoneranno lo sfogo.